Le amare considerazioni di un dializzato
Per molti, sentir parlare di dialisi è come entrare in un mondo fatto di misteri e di paura dove l’incognita del “ domani “ diviene uno scenario ricco di probabilità connesse alla sopravvivenza caduca e tentennante. Per molti ancora e si fa riferimento al numeroso esercito degli operatori che sono titolari di umana coscienza e fattiva professionalità per dedizione, diviene una missione mirata alla salvaguardia dei sofferenti al fine di alleviarli mediante il controllo delle attività cliniche di ognuno dei pazienti.
E per tantissimi ancora, sempre più in crescendo, non devono essere sottovalutate le definizioni di “ Umani non mordenti” e di “ martiri della quotidianità” con le quali vengono comunemente riconosciuti e citati i dializzati.
Entrare, quindi, a giorni alterni in una sala di dialisi dove i reni che ti salvano la vita ti accompagnano in un percorso di quattro ore volta per volta, rende “ l’umano non mordente” giulivo e certo di trovarsi in un ambiente sereno dove le attenzioni e sovratutto le cure sono tali da far registrare una costante importantissima per il morale di ognuno: l’amore e la dedizione.
Ci si trova pertanto in un secondo ambiente familiare e naturalmente in quell’unico ambiente nel quale a far da padrone altri non è che l’armonia che si instaura tra i pazienti e tra il personale tutto turno dopo turno, ma quando ti accorgi attraverso percezioni che tale armonia incomincia a vacillare nonostante il già accennato rapporto di cordialità con tutti gli operatori nessuno escluso, devi necessariamente ricorrere alla individuazione delle cause che ne hanno determinato l’origine e l’evoluzione in negativo e agire in modo tale da ripristinarla.
Si possono analizzare, intanto, le circostanze nel caso si dovesse verificare l’effettivo smarrimento di questa armonia e la ricerca va a cadere in numerosi fattori che man mano vengono di seguito considerati e senza voler muovere accuse, da parte dello scrivente, a chicchesia, sebbene ce ne sarebbero le giuste motivazioni nel farlo ma tutt’altro, se ne può rivolgere soltanto una esortazione a voler desistere dalla progettata iniziativa qualora fosse in atto, avente qual fine il raggiungimento della totale chiusura del centro medesimo.
Una considerazione seria e delicata, che non mi convince affatto sotto l’aspetto della liceità sia professionale che legale, è quando un paziente o più pazienti possono essere indotti o cercare di indurli, per patologie diverse, al trasferimento in altre sedi laddove le cure sarebbero migliori per la presenza di altre corsie mediche, ma vivaddio, mi chiedo a tal punto, per quale motivo debbano esistere i centri di dialisi in sedi dove non sia presente un Ospedale?
Armonia spezzata anche dall’eventuale stravolgimento di qualche turnazione e che ha provocato disagi incommensurabili sia pratici che psicologici per il semplice fatto che ad averne subito simile trattamento siano state persone anziane e indifese con tantissime altre patologie e quindi non può e non deve ritenersi accettabile che un malato possa aver dializzato alcune volte di mattino e altre di pomeriggio o che lo si possa fare in futuro e non mi si venga a dire o contestare che siffatti comportamenti siano frutto di un buon andamento organizzativo, tutt’altro sono lontani anni luce da una buona organizzazione aziendale, ma guarda un po’, mica si tratta di azienda che produce filati o formaggi, qui si tratta di vite umane.
Il significato di tutto ciò? Si può parlare di andamento legittimo? Suppongo di no o che così facendo viene ad essere alterato il ritmo dialitico ? Certamente si.
Vi è da dire, inoltre, che in questi ambienti dove, purtroppo, per età e per natura, i decessi si susseguono con frequenza rendendo così disponibili “ posti “ tanto agognati stante la domanda e che allo stato risultano non assegnati.
Ci si chiede: come mai non si interviene?
Come mai non si adotta il principio del potenziamento e far sì che il centro sia un fiore all’occhiello? E non sarebbe una chimera…
Ma tutto quanto sopra ed enunciato dallo scrivente quale delegato locale del’ANED e che è frutto di personali considerazioni e constatazioni bene evidenti, senza il coinvolgimento o suggerimenti di altri soggetti che non siano pazienti dializzati, mi suggeriscono un fine ben preciso che si proietta nel futuro e che non sto qui a sottolineare ben cogliendo un pensiero di Madre Teresa e che recita: “L’amore che si dona è quello che si riceve” e che da uomo di poesia lo trasformo in una metafora affilata!
Concludo nel dire che i vari centri di dialisi convenzionati e nei quali risiedono per metà della vita tutti i “ martiri della quotidianità” non appartengono alla proprietà privata bensì al bene pubblico che elargisce e sovvenziona danaro pubblico e nei quali, per analogia, un buon padre si adopera e tende per natura, a far progredire la propria famiglia!
Le Preg.me Eccellenze ed i destinatari di questi miei considerati vorranno quindi esaminare con libertà di pensiero ciò detto e ripeto, frutto di personali intuizioni, illuminandomi che le mie sono, restano e saranno solo e soltanto infondati timori o fantasie e che auspico restino tali e laddove lo ritenessero opportuno, sarò disponibile per rimarcarli oralmente mediante pacifica azione di protesta, unitamente ad altri dializzati, dinanzi l’ingresso del centro con il rifiuto di sottoporci al trattamento dialitico a danno della propria vita.
Con le cordialità che mi contraddistinguono, porgo deferenti saluti.
Cariati addì Geom.Alfredo Genovese