Amministrative 2011 – Fumata nera nella coalizione “Deve vincere Cariati” sulla scelta del nominativo a sindaco
Eppure il progetto c’era, ma troppi nocchieri, in una nave senza marinari, hanno determinato una rotta perigliosa in acque infestate da squali, triglie e, sicuramente, da qualche tonno a pinne gialle destinato a finire in scatola.
CARIATI - C’è una storiella dalle nostre parti che si tramanda oralmente, da padre in figlio, da tempo immemorabile.
Due compari decidono di fare, nottetempo, una “visitina” ad un campo di ciliegi per godere a scrocco del succulento frutto.
La bravata non riesce perché i bricconi, scoperti dal proprietario, rimediano una salutare batosta.
Da allora, per indicare un evento andato a male, poiché compiuto senza le dovute cautele, si dice, con espressione colorita, di aver ricavato “u culu ruttu e senza cirasi” (la traduzione è superflua).
Senza ciliegie, e con il fondoschiena malconcio, è rimasto il gruppo di “Deve vincere Cariati”, la coalizione civica che, nelle intenzioni dei padri fondatori, avrebbe dovuto raccogliere il meglio della società civile, nell’amorevole sforzo di proporsi come “alternativa” seria e credibile alla maggioranza uscente.
Le buone intenzioni si sono incagliate negli scogli di antiche acredini e rivalità mai sopite, e nemmeno l’attuale, difficile momento storico, che pure avrebbe dovuto costituire un naturale “collante” contro il “nemico comune”, è stato sufficiente ad evitare il naufragio.
Eppure il progetto c’era, ma troppi nocchieri, in una nave senza marinari, hanno determinato una rotta perigliosa in acque infestate da squali, triglie e, sicuramente, da qualche tonno a pinne gialle destinato a finire in scatola.
Il “martedì nero” degli alleati inizia nel primo pomeriggio, quanto i “papabili” a sindaco (Antonio Arcuri, Antonio Formaro e Saverio Greco) si ritirano in conclave: non sappiamo cosa sia successo di preciso nelle secrete stanze, giacché le ricostruzioni sono discordi.
È certo che la fumata è ancora nera, sicché fra i cardinali che aspettano l’ “habemus papam” scoppia il putiferio: è tutto da rifare.
C’è chi se ne va sbattendo la porta; chi sbraita; chi accusa di altro tradimento il Camerlengo di turno.
Uno spettacolo indecoroso in un lembo di Calabria, già Magna Graecia, definita dai retori culla della democrazia. Può anche darsi, ma ci deve essere stato un infanticidio. O, per lo meno, uno scambio di neonato perché quaggiù le ciliegie hanno un sapore amaro ed i glutei fanno ancora male.