LE CALABRIE DI SCOPELLITI
Cariati - Nell’immaginario storico e geografico “la Calabria” non esiste; esistono “le Calabrie”, come la statale 19 delle “Calabrie”, la “Calabria Citeriore” e la “Calabria Ulteriore”.
Più “Calabrie”, insomma, raccontate anche dai grandi viaggiatori dell’800.
Ovviamente, in tempi di aspirazioni secessioniste, la definizione di una regione “divisa” in microaree lascia il tempo che trova, giacché appressando tale ragionamento ci ritroveremmo a frazionare province, comuni e quartieri.
Ora, è ovvio che ciascuno, per ragioni antropologiche e culturali, “senta” di “appartenere” ad un gruppo, a sua volta scomponibile.
Ma l’uomo, si è detto, non è un’isola: ha bisogno dei suoi simili, sempre e comunque.
Eppure il governatore calabrese Giuseppe Scopelliti (non scordiamo mai che egli è il proconsole di Berlusconi, a sua volta ostaggio della Lega) sta tentando, e ci riuscirà, l’operazione di rendere reale l’illusorio, e cioè di tracciare un netto confine tra la provincia della Cosenza, ove risiede quasi la metà dei calabresi, ed il resto della regione.
Un confine che corrisponde, guarda caso, al naturale limite di Cariati e, per la precisione, al corso del Fiume Nicà, quella fiumara aspra e secca che era, oltre 2 mila e 500 anni fa, la “frontiera” tra Kroton e Sybaris.
Scopelliti, il leghista del Sud, ha cominciato con la sanità pubblica: tagli indiscriminati nella Sibaritide e quattrini a iosa nel resto della regione.
Indubbiamente il problema è serio, ma Scopelliti, armato di cesoia dal Cavaliere, ha ben pensato di recidere l’impossibile nella provincia che gli ha tributato meno consensi.
Prima del figlioccio di Berlusconi avevamo i cecchini (di destra e di sinistra) che almeno ne facevano fuori uno alla volta.
Poi è arrivato, democraticamente, s’intende, il sindaco di Reggio, ed è stata: una strage.
Nessuno può onestamente contestare la gravità e complessità dei problemi da risolvere.
Ma appunto perché i problemi sono così ardui ed urgenti, nessuno è più disposto a tollerare la tortuosità di certi rituali che sembrano inventati apposta per esasperare l’opinione pubblica.
Scopelliti dispone di un formidabile apparato informativo.
Oltre alla compiacenza reverenziale della carta stampata regionale e nazionale, ha dalla sua parte il carrozzone della Rai e la corazzata Mediaset, sicché i suoi messaggi “passano” come un coltello che affonda nel burro, mentre la “verità” delle popolazioni vessate non comparirà mai sui media, qualunque cosa succeda.
Siamo dinanzi ad una distorsione dei fatti che non ha precedenti nella storia della nostra regione.
Scopelliti dice di essere stato aggredito a Cosenza da un gruppo di scalmanati cariatesi.
E la contestazione diventa “agguato”, con l’aggravante di essere stato preordinato nientemeno che dal sindaco Filippo Giovanni Sero, una persona sulla cui onestà intellettuale e rispetto parossistico della legalità siamo pronti, come Muzio Scevola, a bruciarci una mano.
E poi, non contento, il governatore alza il tiro: “I cariatesi sono strumentalizzati da poteri oscuri criminali e ‘ndranghetisti”.
Suvvia, Scopelliti. La ‘ndrangheta (siamo campanilisti anche noi, vero?) ha il suo humus ideale proprio a Reggio. Quassù, nella Sibaritide, non siamo immuni da certi “poteri”, certo, però la mafia ci appare lontana mille miglia, o almeno questa è la sensazione, reale, che vivono 200 mila calabresi privati del diritto ad essere curati.
Magari non sarà vero che, come a Bisanzio quando i turchi ne assalivano le mura, qui si stia discutendo sul sesso degli angeli.
Ma questa è l’impressione che ritrae il cittadino dal fuoco incrociato delle dichiarazioni, delle interviste, delle smentite, delle reticenze dei vari protagonisti.
I signori della politica farebbero bene a distrarsi un po’ dai propri conciliabili di parrocchia per tendere l’orecchio alla voce della Calabria onesta.
Si renderebbero conto che, questa volta, la reazione non è di indifferenza, ma di rabbia.